La generazione del rock'n roll

Quella del rock'n roll fu una scoperta: la scoperta di una generazione, fatta di adolescenti bianchi e neri, destinata a fare storia negli anni.

Con molta probabilità i testi di storia editi tra un secolo o forse anche tra meno anni non racconteranno che poco o nulla sulle generazioni giovanili che furono, negli anni '50, le prime ad essere coinvolte in un fenomeno musicale di natura popolare e commerciale chiamato rock'n roll. Eppure queste generazioni, soprattutto quelle anglo-americane che vissero più direttamente ed intensamente tale avventura sonora, sono alla base di una evoluzione generazionale, se non addirittura di una rivoluzione, che ha finito coll'incidere profondamente non solo nel costume, ma anche sulle scelte economiche, politiche e sociali di tutto un trentennio. Se cercate di individuare in tutto questo movimento qualità negative e positive è prematuro e fuori luogo, l'ammettere invece che quei ragazzi che, nelle cittadine americane, imitavano Buddy Holly o Prestley, abbiano fatto in qualche modo storia sembra un fattore significativo e legittimo.
Buddy Holly
Certo, agli albori del rock'n roll, il fenomeno trae origine da ragioni di natura economica: i diciottenni che sognavano di guidare uan decappottabile rossa, che assalivano i negozi di dischi, che si imbrillantinavano i capelli di nascosto dai genitori, erano soprattutto il segnale che indicava la nascita di un nuovo, grande, importantissimo mercato.
Ed è ugualmente che i primi mutamenti reali, questi ragazzi, li portarono nel campo del costume, in un insieme di sfumature, di << pazzie >>, come erano giudicate allora, che oggi al massimo muovono al sorriso. Ma d'altra parte quel primo obiettivo fu inevitabile. C'era tra i ragazzi di allora e la realtà questa sorta di schermo protettivo, fatto di leggi estetizzanti spesso motivate da una tradizione scarsa di valori e di creatività: cozzarci contro fu logico. E solo quando lo schermo fu in parte rimosso e in parte sostituito con altri costumi meno rigidi e più attenti alla natura dei nuovi protagonisti, solo allora ci si accorse di altri, ben più complessi, traguardi. Toccò ad altre generazioni affrontarli e risolverli, nel bene e nel male. Ma già a pochi anni di distanza dalle prime note stridenti del rock'n roll, al vertice del potere degli Stati Uniti giungeva, con John F.Kennedy, un uomo giovane, atipico, che pur non identificandosi con quella generazione, proprio dai ragazzi del rock'n roll aveva avuto fiducia: segno che quei primi, goffi, passi di danza non erano stati inutili.

I figli della guerra

I ragazzetti che crescevano negli anni '50 erano i figli della guerra, una guerra che non si era conclusa con la resa del Giappone, ma che serpeggiava tra il Medio e l'Estremo Oriente, tra le rivoluzioni sudamericane e la caduta dei colonialismi. Il loro pane quotidiano era rappresentato dallo sciovinismo, da propagande ideologiche spesso martellanti e crudeli, e, insieme, da un improvviso lassismo dei valori tradizionali a cui l'euforia post-bellica aveva improvvisamente portato. Molti padri erano in guerra, molti non erano tornati, le madri lavoravano, si risposavano, le famiglie erano separate; in Europa molti erano sfollati fuori dalle città distrutte, in America la concentrazione dell'economia bellica aveva rivoluzionato più di un nucleo familiare. Non fu facile, in questo marasma, avere un'infanzia normale, e, quando i bambini della guerra raggiunsero la pubertà, nel pieno degli anni '50, si accorsero senza piacere di essere una specie di generazione a sè stante, separata dal mondo degli adulti e bollata con un termine che di lì a poco avrebbe dilagato: teen-ager. La prima reazione a questa situazione fu di estremo disagio, a cui seguì subito il disperato tentativo di agganciare il mondo di chi era più vecchio. La condizione dell'adolescente, in una sorta di terra di nessuno, a cavallo tra la maturità sessuale e quella legale, non era certo nuova, ma divenne come un incubo da superare.
mentre in Italia il neorealismo portava sugli schermi le storie di bambini che si improvvisavano lustrascarpe o ladri di biciclette, dall'altra parte dell'oceano, i tredicenni sognavano di avere già l'aspetto di chi era maggiorenne: fumare, andare nei locali pubblici, mettersi il rossetto e le calze di nylon erano le ambizioni più ricorrenti. E dall'una e dall'altra riva dell'Atlantico si mentiva a proposito dell'età: tutti avrebbero voluto avere più anni.
Ma in aiuto di questi adolescenti turbati e confusi venne un nuovo fenomeno economico, quello di un lavoro giovanile diffuso, non troppo impegnativo, e, tutto sommato, discretamente retribuito. Fu questo un evento caratteristico degli Stati Uniti: la nazione era impegnata in un grande sforzo produttivo che da un lato cercava di rispondere alle esigenze interne di un mercato sempre più prientato verso il benessere e, dall'altra parte, era alle prese con la ricostruzione dei mercati di quelle nazioni distrutte dalla guerra. In questo bengodi occupazionale i ragazzi di allora trovarono un loro spazio. Si trattava di lavori semplici, il garzone del latte, il rivenditore di quotidiani, spesso svolti a livello hobbystico, con la sola aspirazione di poter arrotondare facilmente la quota settimanale che passavano i genitori. Tutto ciò portò ad una duplice conseguenza: ci fu infatti un imprevedibile accostamento, una conoscenza, potremmo dire, tra questa generazione e quelle minoranze, specialmente quella nera, che da sempre e per altri motivi aveva svolto quelle mansioni lavorative più umili. D'altra parte i giovani si scoprirono improvvisamente ricchi: un ragazzo, in quegli anni, guadagnava in Inghilterra come in USA anche sedici, ventimila lire al mese: davvero non poco per quegli anni, all'incirca il quintuplo di quanto potessero disporre in media quegli stessi ragazzi prima della guerra e, quel che contava di più, quella cifra rappresentava il doppio del loro potere d'acquisto. Insomma una generazione cresceva anche economicamente e nessuno se ne era accorto.


Eroi fuori dal tempo

All'inizio non mutò nulla. I giovani avevano soldi da spendere ma l'industria non se ne era resa conto. E questa improvvisa ricchezza aveva spesso significati contraddittori: soprattutto per i giovani delle minoranze, dei grandi ghetti urbani. Per costoro affermare la propria possibilità di spendere denaro proprio aveva spesso il sapore di una sfida: contro una mentalità che li aveva da sempre segregati e contro un nuovo, diffuso, razzismo che cercava proprio di colpire quelle nuove generazioni.
Lo stesso tentativo di defnire i giovani come un gruppo separato è sintomatico di una ostilità adulta intensa e diffusa, tanto che Norman Mailer, alla luce di qeusto scontro generazionale non ebbe dubbi nel definire questo come uno dei peggiori decenni nella storia dell'uomo. Ma fosre tanta acredine nel conformismo era come un avvertimento dello sconvolgimento che presto sarebbe venuto.
D'altra parte le classi dirigenti anglosassoni, l'establishment culturale anglo-americano pervaso da un diffuso grigiore offriva alle generazioni giovani modelli ed eroi caratterizzati da uno stridente anacronismo, da ideali lontani.
Negli Stati Uniti l'èlite che deteneva le leve del potere, indicata con la sigla WASP, si identificava con il protestantesimo, bianco di matrice anglosassone. Per tale èlite i grandi immigratori, italiani, irlandesi, polacchi, negri, portoricani, cinesi, non esistevano se non al negativo. Nonostante i rappresentanti di queste minoranze, molte delle quali integrate nel resto della nazione, fossero già da tempo insediati in posti di grande responsabilità all'interno del meccanismo politico.economico americano, l'eroe proposto quotidianamente continuava d avere i classici connotati del WASP: occhi azzurri e trasparenti, immacolati ideali. Anche Hollywood, anzi soprattutto questa fabbrica di sogni accentuò certi valori propinandoli al mondo come l'essenza unica ed irreprensibile della vera America. Eppure anche qui il meccanismo era retto da esponenti delle minoranze, perlopiù ebrei, e tra queste mura pudiche Bernie Schwartz aveva dovuto mutare il suo nome in Tony Curtis e Doris Kappelhoff era diventata Doris Day. L'importante era non turbare l'equilibrio, lo stesso che sullo schermo riproponeva l'ebreo nella parte del comico, il latino in quella del malvagio e il pellerossa in quella dell'eterno, crudele, perdente.
In Inghilterra l'insieme rivela incongruenze ancora più marcate: qui la frattura più che tra gruppi razziali si insinuava tra le differenze sociali: Billy Bunter, l'eroe dei fumetti di allora che compariva quotidianamente nei più diffusi giornali e riviste britannici, era un infernale ragazzino della buona società sempre alle prese con problemi di educazione davanti ad enormi vassoi di paste alla panna. E tutto questo nel '51, anno in cui gran parte del Regno Unito era soggetta al razionamento del pane! Insegnava, insomma, alla gioventù della nazione a sperare di essere un giorno dei gentlemen di terza categoria. Gli eroi, dai film, ai romanzi, ai fumetti, appartenevano tutti ai ceti superiori, l'Inghilterra vista da lontano sembrava un paese occupato solo da case signorili, cani con nobili discendenze e devoti maggiordomi. Ma le cose non stavano proprio così.

 Tra folk e cultura

L'esplosione del rock'n roll è comunemente descritta dagli storici americani come un evento musicale di natura popolare: ma in realtà la sua maturazione fu aiutata non poco anche da una cultura più giovane che nei paesi anglosassoni conquistava posizioni sempre più prestigiose, sfidando i  modelli ufficiali. Negli States l'avvenimento che ebbe una maggiore rilevanza per il futuro di quella muscia << selvaggia >> fu una strana storia d'amore tra culture diverse, quella negra e quella bianca. Nel romanzo On the road, un classico della generazione beat, Jack Kerouac dice chiaramente quello che sta succedendo. Il protagonista, Dick Moriarty, vi è descritto mentre attraversa il ghetto e <<...tutti i muscoli gli facevano male...desiderando di essere un negro, con la sensazione che il meglio che poteva offrire la civiltà bianca non era abbastanza per lui, che non gli era stata data abbastanza vita, gioia, divertimento, musica, non abbastanza notte >>. Come disse poi Norman Mailer, annunciando la nascita di quel fenomeno che chiamava << il negro bianco >>, <<...il delinquente minorenne e bohèmien si trova faccia a faccia con il negro, e il bianco realizzato era una realtà della società americana, e in questa unione tra il bianco e il negro era il negro che portava il patrimonio culturale >>.
Alle radici di questo fenomeno così efficacemente delineato dai nuovi e sensibili protagonisti della cultura statunitense, c'era uno spostamento di massa delle popolazioni nere del Sud, quasi una migrazione che le aveva portate a lavorare nelle fabbriche dell'economia bellica, nel Nord. Con loro questi uomini ancora semplici ed ingenui portavano la cultura e i valori rurali della muscia folk: si muovevano e parlavano al suono di ritmi differenti. Cercavano forse la Terra promessa, trovarono soltanto un ambiente freddo, ostile, nevrotizzante. Le grandi città decretarono il crollo delle loro strutture familiari e i loro ragazzi crebbero diventando quasi degli stranieri, dai modi violenti. La muscia di questa generazione mutò quasi istantaneamente: si fece più amara e dondolante, quasi un ballo. Nacquero così quei cantanti di blues urbano come Muddy Waters che per poche lire e una bottiglia ringhiavano canzoni oscene, piene di amore, sensualità ed odio nei locali rissosi del South Side di Chicago. L'industria ufficiale del disco guardava con sospetto a queste forme musicali e si interessava solo a questo blues per sfruttare eventuali acquirenti di colore: sulle copertine spiccava ancora l'odiosa scritta race music che segregava anche i suoni e i ritmi. Ma una piccola parte della gioventù bianca aveva incominciato ad ascoltare e a muoversi su quel tempo dondolante: i semi del rock'n roll erano gettati.
Intanto anche in Inghilterra una nuova generazione culturale operava una piccola, prima rivoluzione. Erano gli intellettuali col maglione a collo alto, simbolo davvero effimero di una ribellione di costumi: i loro nomi erano Alan Sillitoe, John Braine, Stan Bartow, Kingley Amis, i loro temi preferiti erano quelli comuni agli abitanti delle periferie, i loro eroi gli uomini della classe lavoratrice. Il simbolo ricorrente si chiamava Jimmy Porter, l'arrabbiato protagonista di Look back in anger, di John Osborne, il ragazzo che odiava tanto la società inglese da non poterne essere parte. Ma ci sarebbero voluti più di dieci anni perchè i giovani inglesi, sull'onda di un fenomeno chiamato Beatles, capissero a fondo il significato di certe pagine.

Nasce la tv

Ma se i nuovi modelli sociali americani andavano mutando lo si doveva anche ad un altro, non meno importante, fattore: lo sviluppo tecnologico. I Cinquanta furono per gli statunitensi gli anni dell'automobile: nel '52 la nazione contava già 3000 drive-in, quei cinema dove si andava con tutta l'automobile. Il ragazzo americano imparava a guidare a quindici anni, e l'anno dopo era in circolazione con la macchina del padre. Ogni automobile che si rispettasse doveva avere la radio nel cruscotto, un comodo divano posteriore e una accelerazione tale da competere con quella dell'amico; su quelle automobili, i giovani americani conobbero l'ebrezza della velocità, le emozioni del sesso e il piacere di una musica che cambiava.
Ma con l'auotmobile, un'altra innovazione si affacciava sulla società statunitense pronta a mutarla radicalmente. La televisione si diffuse nelle case con una velocità incredibile: nel giro di pochi anni gli americani potevano sapere tutto quello che succedeva in una nazione ancora profondamente divisa dalle sue proporzioni geografiche. Nasceva quello che qualcuno chiamò il Villaggio Globale, un mondo dominato dalla telecamera. La nuova cultura di massa stava espandendosi e la televisione era il suo strumento ideale. La prova fu dura, soprattutto per una classe politica vecchia e che viveva ancora della rendira problematica dell'ultima guerra. I giovani non potevano vedere in Eisenhower o in Churchill i propri eroi. Preferirono piuttosto il Marlon Brando de Il selvaggio o il James Dean di Rebel without a cause. E furono proprio questi << ribelli senza un motivo >> i primi a muoversi. A Londra si chiamavano teddy boys, a New York street gangs, a Parigi blousons noires, ad Amburgo Halbstarke. Dovunque, a leggere i giornali, le città erano in preda al terrore, percorse da bande di adolescenti impazziti e violenti. Ci fu molto allarmismo, parecchia speculazione, ma anche della verità: i giovani delle minoranze e del sottoproletariato, più che gli studenti, reclamavano il loro diritto ad esistere come gruppo. << Chiamiamo la polizia >> disse qualcuno più preoccupato di altri << e mandiamogliela contro con i fucili spianati >>. Non sapeva che il rock'n roll era destinato a fare sicuramente più chiasso di quei fucili.
Drive-in
 La diffusione del rock

Spiegare a degli italiani, abituati a vivere l'esplosione di un fenomeno o di una moda quasi sempre di riflesso, come il rock'n roll abbia potuto dilagare così in una nazione come gli Stati Uniti e senza l'appoggio di una qualsiasi volontà industriale non è facile. Quando i critici americani parlano della diffuzione di questa musica, accennano quasi sempre ad un fenomeno spontaneo, ad una musica folk, ad un evento popolare. Non sempre si tratta di termini usati a proposito: se di spontaneità ce ne fu davvero tanta, il movimento, come tutti, ai suoi esordi non fu poi così tanto popolare, nel senso di vasta portata, ma più che altro interessò dei gruppi isolati di ragazzi, buona parte dei quali appartenenti alle classi appunto popolari degli States. Quanto all'inquadramento della musica di Prestley e compagni come appartenente al genere folk, la cosa è ancora oggi oggetto di discussione, tra puristi e non, anche se in generale l'accostamento sembra piuttosto indovinato, soprattutto alla luce di certe cartatteristiche tipiche del folk americano. Piuttosto, per avere una spiegazione soddisfacente, è necessario, per noi italiani, avere uno spaccato della micro-società formata dalla generazione adolescente americana dell'epoca. Suo elemento base è il gruppo, elemento, almeno generazionalmente parlando, per noi.  Il coetaneo italiano del fan di Buddy Holly o di Chuck berry difficilmente lavora al di fuori della scuola o di casa, è molto più inglobato nella vita familiare, difficilmente ha un padre con l'automobile, e, ammesso che l'avrebbe, a quindici anni non potrebbe giudarla. Insomma è molto più indietro e solo quando sarà ben più grande, uscito magari dalla goliardia universitaria, diventerà forse uno dei << vitelloni >> di felliniana memoria. Invece in America il gruppo dove il rock'n roll attecchisce è composto da quindicenni e risponde ad un'esigenza classica dei popoli anglosassoni, che vede un mezzo di divertimento, di distrazione. Ci si riunisce quindi intorno ad un bar, un locale, magari un distributore di benzina con annessa autorimessa dove è possibile manipolare motori e carrozzerie.
Se poi si è di colore, o anche portoricani, il gruppo è anche un mezzo di sopravvivenza, di autodifesa. Ma rimane un elemento che mira al divertimento e, soprattutto tra i ragazzi bianchi delle cittadine di provincia, esso ricostruisce una sorta di banco di prova per la vita di relazioni sociali a cui si accede una volta diventati << grandi >>.
A cementare questi gruppi sono soprattutto queste tradizioni sociali e anche un sistema scolastico molto più collegiale e unificante rispetto al nostro. Un'idea di questi gruppi la possiamo avere attraverso le serie televisive di Happy Days, o i film come Grease o American Graffiti anche se, al di là della mistificazione evidente di certi revival, si tratta sempre di esempi che si inquadrano nell'ultimo periodo del rock'n roll.


 I meccanismi di diffusione

Il gruppo fu comunque il meccanismo attraverso il quale il nuovo sound si diffuse: soprattutto quelli delle grandi città dove più facilmente i pregiudizi razziali lasciavano il posto ad amicizie tra bianchi e neri. Fu infatti prima del rock'n roll, la diffusione della musica dei negri per i negri tra i bianchi il vero fenomeno scatenante. Nel '51 un uomo che dirigeva un negozio di dischi a Cleveland, nell'Ohio, telefonò ad Alan Freed, un disc-jockey non giovanissimo che dirigeva una trasmissione radio in un'emittente non molto importante della città. La telefonata aveva come oggetto un inaspettato fenomeno: da alcuni giorni i ragazzi bianchi di Cleveland compravano dischi di race music, di rhythm & blues, di musica destinata soltanto ai negri. Freed capì e pochi giorni dopo inaugurò una trasmissione che si intitolava Moondog's rock and roll party. Quel nome curioso e del tutto nuovo era nato sfruttando quelle parole che più spesso ricorrevano nei testi di quei dischi. Nel giro di tre anni Alan Freed passò da quella radio ad organizzare grandi concerti di rhythm & blues, e poi finì ad una radio di New York che grazie all'apporto di questa specie di apostolo della nuova musica divenne presto una delle più importanti stazioni di tutti gli Stati Uniti. Questo flash su Freed è utile per spiegare l'attenzione che, nonostante una diffusa ostilità, seguiva i fenomeni nuovi, in special modo quelli provenienti dai giovani. Se fu dunque il gruppo a creare alla base un vasto movimento di diffusione, quasi in un gioco di vasi comunicanti, fu la logica di mercato di un'industria attiva anche se di piccole dimensioni, quella che consacrò l'esplosione del rock'n roll. A questo incrocio, distribuzione capillare artigianale e campagna industriale a livelli  nazionali, va però assommato l'impegno che caratterizzò in quegli esordi tutti i moderni mezzi di comunicazione di massa. Certo la televisione, che si sviluppava proprio in quegli anni, ebbe, per forza di cose, solo un ruolo di complice, in questa operazione, ma d'altra parte radio, cinema e dischi furono invece i veri protagonsiti dell'era del rock'n roll. Intendiamoci: l'industria cinematografica, come quella discografica erano meccanismi ormai gloriosi e prestigiosi nel mondo imprenditoriale americano. Ma dopo la guerra ai grandi gruppi si erano affiancati nuovi, giovani imprenditori ambiziosi e smaniosi di dimostarre la bontà del proprio fiuto. E anche nei movimentati corridoi della Metro o della Columbia si incominciava a respirare un'aria nuova. Così, tutto sommato, fu il cinema a capire lo stato d'animo dei giovani ancor prima della musica. E pellicole come Rebel without a cause o Il selvaggio, che avevano come protagonsiti gli eroi di quella generazione, poggiavano tutte su colonne sonore di tipica marca hollywoodiana, che nulla hanno a che vedere con il rock'n roll. Solo quando con Backboard jungle si giunse ad un'armonica fusione tra immagini e tessuto sonoro, il rock'n roll divampò per tutta l'America.
C'è un ultimo elemento, fondamentale, per comprendere la capacità di propagazione di questa nuova musica, ed è proprio quell'elemento tradizionale a cui fanno riferimento alcuni studiosi americani definendo la matrice folk della nuova musica. In effetti il rock'n roll, nelle sue basi e nelle sue strutture fondamentali, era già profondamente radicato nella musicalità negra e non venne prima in superficie per il peso dei pregiudizi razziali che gravavano su di essa. Prima del rock'n roll i cantanti di colore che si fecero largo nel mondo della musica leggera americana rispondevano tutti a delle caratteristiche, pronuncia, eleganza, ecc., che ne facevano classici esponenti dello stile canoro bianco. Nat King Cole, il più illustre tra i tanti, era un pò l'esempio più tipico di questa tendenza: molti appassionati che lo avevano ascoltato solo per radio erano convinti che fosse di pelle chiara...
Louis Jordan, Fats DominoJoe Turner erano invece qualcosa di diverso: erano rauchi, sudati, facevano scempio della lingua grazie ad una pronuncia disastrosa, le parole delle loro canzoni parlavano di una sessualità violenta e scatenata: insomma nelle loro vene scorreva già del rock'n roll. Fu a loro, e a molti altri neri, che i ragazzi bianchi rubarono letteralmente questa nuova musicalità. Anche se per parecchi anni ogni accenno all'amore selvaggio fu tradotto in un invito al << ballo selvaggio >>, il rock'n roll avrebbe cancellato anche questo.


1 commento:

  1. Wow, che blog interessante... divento tua follower con molto piacere!


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